Ridiamoci una speranza.
Il congresso costituente verso un nuovo PD

Giustizia sociale e climatica sono inscindibili, così come diritti sociali e diritti civili. Vogliamo costruire un Partito che tenga insieme queste lotte, con la consapevolezza che se la politica non si rimette all’ascolto con umiltà di ciò che si muove nella società, per riallacciare i fili con chi non si sente più rappresentato, tradirà la sua stessa funzione. E con la consapevolezza che le piazze non bastano se non trovano sponda con la rappresentanza, per fare entrare le giuste istanze nei luoghi in cui si prendono le decisioni.

Il 25 settembre scorso è accaduto qualcosa di più di una sconfitta elettorale. Milioni di persone che vivono la propria precarietà come una condizione ineluttabile di vita hanno scelto di non votare o di votare a destra. Non hanno scelto noi. Anzi, gran parte di loro
pensa che il centrosinistra sia corresponsabile della loro precarietà. La frattura che divide tanti cittadini e cittadine dalla politica e dalle istituzioni non è mai stata così profonda.
Dopo il risultato del 25 settembre, sarebbe irresponsabile che non si trovasse un terreno di battaglie comuni da fare insieme alle altre forze di opposizione, a partire da grandi temi come il salario minimo, la difesa e il rafforzamento della sanità pubblica, il congedo
paritario, le misure per affrontare la crisi energetica e l’emergenza climatica.

Le ragioni di fondo della nostra sconfitta vengono da lontano. Per dieci anni degli ultimi sedici il PD è stato comunque al governo del Paese. Sempre in governi di larghe intese o di coalizione, senza aver vinto con un forte mandato popolare. Dal 2008 il PD ha più che
dimezzato i voti. Siamo da anni nettamente minoritari nel mondo del lavoro e tra chi un lavoro non ce l’ha, tra chi si è impoverito attraverso questi anni di crisi.

Oggi è il momento di ridare al Partito Democratico un’identità chiara, comprensibile, coerente.

Il Congresso costituente è un’occasione per ritrovare il senso di un impegno comune, per chiederci che cos’è andato storto, dove si è rotta la connessione sentimentale con chi vogliamo rappresentare: e allora partecipiamolo, affolliamolo di idee. Deve proseguire
anche oltre le primarie, per ridarci un luogo di confronto permanente a tutti i livelli tra la comunità democratica e la società civile, i mondi associativi e del Terzo Settore, sindacali, professionali e delle categorie, accademici, con le espressioni genuine di civismo e
le mobilitazioni delle nuove generazioni. Dobbiamo puntare ad essere una casa aperta e accogliente dove ricucire i fili con chi vogliamo rappresentare.

Abbiamo un compito importante, che non è soltanto quello di eleggere una nuova segretaria o segretario ma innanzitutto di scrivere insieme una storia nuova. Di riscoprirci una comunità politica che vuol essere intelligenza collettiva, sanando le fratture prodotte
dagli errori e dalle contraddizioni di questi anni. Di ricostruire una cultura politica.

Viviamo in un tempo in cui tante e tanti hanno smesso di credere che la politica sia uno strumento per emancipare le persone dal bisogno. Dobbiamo far tornare a immaginare a una ragazza o un ragazzo che oggi si impegna ma fuori dalla politica che questa sia
anche casa sua. Dobbiamo avere l’umiltà di dire che sono stati fatti degli errori. Se non lo diciamo noi, saranno le elettrici e gli elettori a continuare a farlo.

Il 25 settembre si è aperta una fase nuova.
Il governo di Giorgia Meloni ha già mostrato il volto della peggiore ideologia della destra nazionalista. La destra ha in mente un Paese con la testa rivolta all’indietro. Spinge l’Italia a competere al ribasso, indebolendo i diritti delle lavoratrici e dei lavoratori, tollerando
l’illegalità fiscale, negando l’emergenza climatica. Difende le rendite e i privilegi e divide l’Italia, premiando alcune categorie e abbandonando al suo destino chi non ce la fa.
La destra pensa di affrontare la crisi della democrazia con la scorciatoia del presidenzialismo.

Di fronte a questa destra, il cambiamento deve partire da noi.
Non sprechiamo questa occasione! Ci serve una riflessione profonda ma è necessario farla con le persone e non all’interno del ceto politico, tra gruppi dirigenti e correnti. Solo così questo percorso potrà essere interessante verso l’esterno.

Ci rivolgiamo ad un partito – il PD – che è nato dall’incontro di una pluralità di culture del riformismo italiano, da quella socialista a quella cattolica democratica e cristiano sociale, da quella liberale all’ecologismo e al femminismo. Ci rivolgiamo anche a chi ha una storia, un percorso, idee diverse dalle nostre. Non siamo qui per una inutile resa dei conti identitaria, siamo qui per fare una cosa più difficile: il nuovo PD. Tenere insieme questa comunità, salvaguardare il suo pluralismo, ma senza più rinunciare a un profilo e ad un’identità chiara, coerente, comprensibile alle persone.

Non si può essere tutto e il contrario di tutto, altrimenti si finisce per non rappresentare più nessuno. È tempo di avere più coraggio. Nelle scelte, nelle proposte, nella visione, scegliendo chi vogliamo rappresentare.

Questa sfida non va letta nella semplice divisione tra quanto riformismo e quanta radicalità ci servono, ma nello sfidare le culture di provenienza su come cambiamo il modello di sviluppo neoliberista che si è rivelato assolutamente insostenibile, che si nutre dell’aumento delle diseguaglianze e che distrugge il pianeta.

La destra ha vinto le elezioni, è andata al governo e sta facendo la destra. Noi dobbiamo ricostruire la sinistra. Una sinistra che nel nostro tempo non può che essere ecologista e femminista.

La visione del futuro che parte da noi, si fonda su tre sfide cruciali e intrecciate che le destre non nominano mai: disuguaglianze, clima e precarietà.

Un futuro più giusto:
contrastare ogni forma di diseguaglianza e discriminazione

In questi anni di crisi le diseguaglianze hanno raggiunto livelli spaventosi. Si manifestano in una fortissima concentrazione della ricchezza in poche mani, nella polarizzazione tra lavori tutelati e precari, ben retribuiti o mal pagati. Nei divari salariali, occupazionali e pensionistici che colpiscono le donne. Nella concezione patriarcale della famiglia. Nella povertà educativa e nella malnutrizione che colpiscono i minori. Nella discriminazione dei migranti, nel razzismo, nella ricattabilità di chi è senza tutele. Nelle barriere architettoniche. Nei divari territoriali. Nella mancanza di voce e di peso nei luoghi dove si decide.

Noi vogliamo proporre un nuovo contratto sociale.

Per contrastare le diseguaglianze e emancipare le persone dal bisogno. Per rispondere alla domanda di protezione di chi è rimasto ai margini dei cambiamenti. Perché chiunque possa realizzare il proprio percorso di vita. Per accompagnare la conversione ecologica e digitale senza lasciare indietro nessuno.

Dobbiamo cambiare il modello di sviluppo in modo da combattere le diseguaglianze partendo da dove si formano. E dobbiamo riscoprire una parola fondamentale: redistribuzione. Delle ricchezze, del sapere, del potere, del tempo.

Un nuovo contratto sociale vuol dire lottare per un grande investimento nella sanità pubblica e universalistica, difenderla dagli attacchi di chi la vuole tagliare e privatizzare. Il Servizio sanitario nazionale oggi è a rischio. Milioni di persone devono fare i conti ogni giorno con liste di attesa infinite. Hanno difficoltà enormi ad accedere ai medici di famiglia e ai pediatri. Per curarsi, spesso sono costrette ad andare in un’altra regione o a rivolgersi alla sanità privata, se possono permetterselo. Dobbiamo investire di più sul settore pubblico, allineando gli stanziamenti con la media europea, per realizzare una sanità sempre più territoriale e domiciliare. Per ammodernare gli ospedali, potenziare l’offerta diagnostica e valorizzare i professionisti della sanità. Dobbiamo aumentare i posti di specializzazione e l’offerta didattica delle facoltà di medicina. Investire sull’assistenza domiciliare integrata per le persone anziane e non autosufficienti e ramificare una rete capillare di presìdi sociosanitari territoriali, come le case della comunità, che avvicinino la risposta a dove le persone esprimono il proprio bisogno di cura.

Un nuovo contratto sociale vuol dire immaginare un nuovo welfare di prossimità, che non si limiti ad assistere bensì a costruire percorsi di emancipazione e di autonomia. Perché in questo Paese bisogna tornare a dire con forza che il welfare non è un costo. È un investimento. È necessario investire nelle infrastrutture sociali e nei servizi per le persone con disabilità e le persone anziane non autosufficienti e approvare una legge sui bisogni dei caregiver. Bisogna garantire il diritto all’autodeterminazione per le persone con disabilità, investendo sui progetti su “Vita indipendente” e “Dopo di noi”, sull’inserimento lavorativo, ma anche assicurando l’abbattimento di ogni barriera, architettonica, sociale e culturale, aumentando insegnanti ed educazione di sostegno, senza dimenticare diritti troppo spesso ignorati come quello all’affettività e alla sessualità. Il reddito di cittadinanza non va abolito: va migliorato, raccogliendo le proposte avanzate dalla Commissione Saraceno e delle realtà del terzo settore che ogni giorno combattono contro la marginalizzazione. Un nuovo contratto sociale vuol dire ricominciare a credere e investire nell’istruzione pubblica come primo grande strumento di emancipazione sociale.

Non si può parlare di merito prima di aver garantito a tutte e tutti pari opportunità e diritti di accesso a un’istruzione di qualità. Un’educazione che parta dai primissimi anni di vita e che estenda l’obbligo formativo a 18 anni. Bisogna restituire dignità al ruolo sociale di chi insegna. Ridurre il numero di bambini e bambine nelle classi e ampliare il tempo pieno. Garantire la presenza di insegnanti e personale educativo di sostegno. Rendere gratuito l’accesso all’istruzione garantendo i libri di testo, il trasporto pubblico, le rette universitarie per le famiglie più fragili e quelle del ceto medio. Fare un grande investimento sull’educazione dell’infanzia che contrasti da principio le diseguaglianze e la povertà educativa e supporti le famiglie nella conciliazione tempi di vita e lavoro. Creare lavoro di qualità in questi servizi liberando il tempo delle donne su cui grava sproporzionatamente il carico di cura.

Un nuovo contratto sociale vuol dire progressività fiscale: chi ha di più deve contribuire in proporzione maggiore al benessere collettivo. La destra promette meno tasse per tutte e per tutti. La “flat tax”. I condoni. Sono promesse avvelenate, perché le tasse pagano i servizi essenziali per tutta la comunità. Per fare funzionare meglio l’Italia dobbiamo rendere più equo ed efficiente il sistema fiscale. La strada da seguire è spostare il carico fiscale dal lavoro e dall’impresa alle rendite e alle emissioni climalteranti. Superare la proliferazione di regimi speciali di favore. Fare pagare le tasse a chi le evade. Redistribuire i redditi e la ricchezza. Il sistema fiscale italiano deve diventare più chiaro, comprensibile e semplice. In una riforma fiscale complessiva e progressiva anche il tema dei grandi patrimoni deve essere affrontato in un’ottica redistributiva, a partire dall’allineamento della tassa sulle donazioni e successioni al livello degli altri grandi Paesi europei, come propone il Forum Disuguaglianze e Diversità.

La fiscalità può essere un grande strumento per orientare gli investimenti verso la conversione ecologica, la trasformazione digitale, la riduzione delle diseguaglianze sociali e di genere. Un nuovo contratto sociale vuol dire un sistema previdenziale che superi le rigidità della riforma Fornero, vuol dire lottare per ripristinare opzione donna, rendendola meno penalizzante, e introdurre una pensione di garanzia per i giovani che hanno avuto lavori intermittenti e precari. Vuol dire rimettere al centro della nostra azione politica il diritto fondamentale alla casa, rilanciando l’edilizia residenziale pubblica e rafforzando gli strumenti per chi è più in difficoltà a pagare l’affitto e per recuperare al mercato delle locazioni una parte delle abitazioni sfitte. Ridurre le diseguaglianze significa anche contrastare ogni forma di discriminazione.

Una sinistra all’altezza delle sfide del presente non può che essere femminista. Siamo una società patriarcale in cui le donne subiscono discriminazioni strutturali in ogni sfera di vita. Dobbiamo pensare e realizzare ogni politica pubblica guardando al mondo attraverso un dimensione di genere che assicuri di scrivere ogni politica attraverso lo sguardo delle donne, e non sulle donne. Per superare le diseguaglianze di genere in ambito lavorativo serve sostenere l’occupazione femminile, la formazione di donne e ragazze in tutte le discipline contro ogni stereotipo di genere, e supportare l’imprenditorialità femminile. Non basta rafforzare le politiche di conciliazione dei tempi di vita e lavoro, c’è bisogno di una redistribuzione del carico di cura che grava sproporzionatamente sulle spalle delle donne. Per questo insistiamo che si approvi un congedo paritario pienamente retribuito e non trasferibile tra genitori di almeno 3 mesi. Noi difendiamo il diritto delle donne a decidere sul proprio corpo, a interrompere volontariamente una gravidanza in modo sicuro e legale, attuando pienamente la legge 194, garantendo una percentuale di medici non obiettori in tutte le strutture e prevedendo l’accesso gratuito alla pillola RU486. Ci battiamo per tutelare il diritto di tutte le donne a vivere una vita libera dalla violenza maschile.

Il Partito Democratico che vogliamo è in prima linea per i diritti LGBTQIA+. Dobbiamo continuare a batterci per una legge contro l’omobilesbotransfobia, l’abilismo e il sessismo, per contrastare le discriminazioni e l’odio che colpiscono ogni giorno le persone. Vogliamo che il matrimonio sia un istituto aperto a tutte e tutti, con il pieno riconoscimento dei diritti delle famiglie omogenitoriali e la fine della discriminazione subita dalle loro figlie e figli, e il contrasto alle teorie riparative. Dobbiamo promuovere l’educazione alle differenze nelle scuole e nelle pubbliche amministrazioni. Per sradicare gli stereotipi sessisti, razzisti e contro le persone LGBTQIA+ e con disabilità prima che sia troppo tardi, per agire sulle differenze prima che diventino diseguaglianze. Non per cancellarle, ma per metterle a valore assicurando a tutte e tutti pari diritti e opportunità.

Nell’Italia che immaginiamo la cittadinanza non è un privilegio riconosciuto per sangue, ma il segno di appartenenza a una comunità democratica aperta, solidale, inclusiva attraverso l’approvazione di una legge sullo Ius soli. Il Partito Democratico che vogliamo costruire ha l’ambizione di cambiare le politiche migratorie e dell’accoglienza italiane ed europee, riformando il regolamento di Dublino, cancellando la Bossi-Fini e approvando una nuova legge sull’immigrazione. E non finanziando mai più la Guardia costiera libica che viola i diritti fondamentali di chi fugge da discriminazioni e torture. Ridurre le disuguaglianze vuol dire anche investire nella cultura come elemento essenziale di emancipazione sociale e di sviluppo della società, nello sport e nella cultura del movimento come vettore straordinario di inclusione, di formazione, di benessere e salute delle persone. Vuol dire coniugare l’innovazione digitale con la giustizia sociale, affinché sia un’opportunità per tutte e tutti e non un privilegio di pochi.

Difendere lo Stato di diritto, garantire l’eguaglianza di tutte le cittadine e i cittadini di fronte alla legge, tutelare la sicurezza di tutte e tutti come fondamentale diritto di libertà. Significa liberare le persone dall’oppressione delle mafie con un contrasto serrato alla criminalità organizzata e alla corruzione. Ci impegneremo anche per battaglie giuste su cui si sono mobilitate le nuove generazioni come la legalizzazione della cannabis e l’approvazione di una legge sul fine vita. E ci batteremo per ridurre i divari territoriali del nostro Paese. Il disegno di legge di Calderoli sull’autonomia differenziata è una proposta inaccettabile e inemendabile, che scavalca Regioni e Parlamento e cristallizza le disuguaglianze territoriali. La strada da seguire è un’altra: tornare a investire sugli enti locali, affrontare la questione meridionale come una grande questione nazionale, perché non c’è riscatto per l’Italia senza il riscatto del Sud, attraverso investimenti e nuove direttrici di sviluppo innovativo sull’economia della cura, sul digitale, sull’energia pulita, sostenere la creazione di lavoro di qualità e di buona impresa a partire dalle startup di giovani e con nuove politiche industriali. Al contempo occorre rilanciare politiche mirate per le aree interne, i territori montani, le isole, contrastando lo spopolamento attraverso i servizi e gli investimenti necessari a offrire nuove opportunità di sviluppo.

Tutte queste non sono rivendicazioni slegate tra loro. Ognuna di esse è connessa all’altra, perché molteplici sono le esperienze di vita che una stessa persona può attraversare, e le discriminazioni che possono colpire ogni persona sono almeno tante quante sono le sfaccettature delle nostre molteplici identità. Questo insegna l’approccio intersezionale, che i sistemi discriminatori e oppressivi non agiscono isolati ma interagiscono tra loro rafforzandosi. Quindi non abbiamo scelta: dobbiamo unire le lotte per la giustizia climatica e sociale, per i diritti sociali e civili.

Accompagnare tutta la società nella conversione ecologica

Affrontare l’emergenza climatica attraverso una vera conversione ecologica dell’economia e della società è la più grande responsabilità che abbiamo verso le prossime generazioni. Diseguaglianze e clima sono profondamente interconnessi. È il momento di agire con coraggio e coerenza. I prossimi dieci anni saranno decisivi e richiederanno una trasformazione economica, sociale e del nostro stile di vita senza precedenti.

La conversione ecologica è una sfida epocale e come tutti i cambiamenti, porta con sé straordinarie opportunità di sviluppo ma anche la preoccupazione di dover cambiare abitudini consolidate, la paura di perdere posti di lavoro. Per questo, abbiamo bisogno di una Legge sul clima, che accompagni ogni settore economico ad abbattere le emissioni garantendo che la conversione ecologica sia equa e inclusiva, conveniente per tutte e tutti. Investire sulle fonti rinnovabili è decisivo per ridurre le emissioni ma ci rende anche indipendenti dal punto di vista energetico e taglia le bollette, perché i costi di produzione oggi sono di gran lunga inferiori a quelli da petrolio e gas.

Bisogna contrastare la scelta del governo di continuare a puntare su nuove trivellazioni. Il nucleare non è la strada da seguire, perché ha tempi e costi di industrializzazione incompatibili con gli obiettivi europei di decarbonizzazione. È necessario invece facilitare la produzione da rinnovabili, sostenere fortemente le comunità energetiche affinché ve ne sia almeno una in ogni comune d’Italia, puntare sull’efficienza energetica per diminuire il consumo di energia delle imprese e delle famiglie.

Dobbiamo mettere in campo nuove politiche industriali che puntino sull’innovazione e la riconversione dei settori più direttamente investiti dal processo di decarbonizzazione, dall’automotive ai sistemi produttivi dove è più difficile ridurre le emissioni. Abbiamo bisogno di un grande investimento sulle competenze e i saperi che possono realizzare questa trasformazione, di ammortizzatori sociali e politiche attive che aiutino i lavoratori e le lavoratrici a riqualificarsi e a riprofessionalizzarsi.

Il percorso della transizione ecologica passa anche da una legge che contrasti il consumo di suolo e una nuova legislazione urbanistica. Dall’invertire il rapporto per cui spendiamo dopo le emergenze circa quattro volte di più di quel che investiamo in prevenzione del dissesto idrogeologico. Dal disseminare il Paese di cantieri di cura del territorio creando lavoro di qualità. Dallo stop ai condoni e dall’investimento nella rigenerazione e riqualificazione urbana. Da una gestione più sostenibile delle risorse idriche e dell’agricoltura che punti su filiere corte e equa remunerazione, sulle colture biologiche e a basso input superando l’uso di fertilizzanti chimici e pesticidi, sulla tutela della biodiversità e del benessere animale.

La transizione passa dallo sviluppo dell’economia circolare superando discariche e inceneritori e della mobilità sostenibile. Da un sistema fiscale orientato allo sviluppo sostenibile, eliminando i 22 miliardi di euro all’anno che il Paese spende per sussidi ambientalmente dannosi e reinvestendoli per accompagnare le imprese, specialmente quelle piccole e medie, a innovare i processi e ridurre le emissioni e gli impatti negativi sul Pianeta e la salute.

Restituire dignità e qualità al lavoro

La destra non parla mai di precarietà. Eppure, il lavoro in Italia è divenuto sempre più precario. Il nostro Paese è l’unico dell’area Ocse nel quale, dal 1990 al 2020, il salario medio annuale reale è diminuito. Il lavoro a partita IVA, autonomo, professionale è sempre più insicuro e fragile. L’Italia è il Paese europeo con il più alto numero di NEET, i giovani che non lavorano, né studiano, né cercano occupazione.

Non basta creare nuova occupazione, bisogna che sia di qualità e che assicuri un’esistenza libera e dignitosa. Al nostro Paese serve una nuova politica industriale che cambi radicalmente i modelli di produzione, consumo, distribuzione e che realizzi la conversione ecologica e la trasformazione digitale redistribuendone i benefici. Alle imprese va garantita continuità normativa e istituzionale e un contesto regolatorio il più possibile certo e semplice. Un sistema fiscale che riduca gli adempimenti, che riequilibri il rapporto tra amministrazione e contribuente e che premi le imprese che investono e quelle che garantiscono lavoro stabile e di qualità. Dobbiamo aiutare l’innovazione nelle imprese, accompagnare con azioni di sostegno i settori strategici. Gli incentivi e le commesse pubbliche devono prevedere clausole sociali.

Rigenerare la Pubblica Amministrazione è decisivo per fare cambiare passo all’Italia, così come aumentare la partecipazione strategica di lavoratrici e lavoratori alle scelte delle imprese e alla condivisione di obiettivi e risultati.

Dobbiamo cambiare rotta nelle politiche del lavoro. Voltare nettamente pagina dopo gli errori del “Jobs Act” e del “decreto Poletti” sulla facilitazione dei licenziamenti e la liberalizzazione dei contratti a termine. È necessaria una lotta serrata alla precarietà e allo sfruttamento, limitando il ricorso ai contratti a tempo determinato a partire da quelli di brevissima durata, come hanno fatto in Spagna. Gli stage extra curriculari gratuiti vanno aboliti e dobbiamo recepire nella legislazione le sentenze della Corte Costituzionale sulla disciplina dei licenziamenti illegittimi. Serve una legge sulla rappresentanza che faccia piazza pulita dei contratti pirata che condannano interi settori a una precarietà esistenziale.

La piaga del lavoro povero è enormemente diffusa. Lavoro e povero non devono più stare nella stessa frase. È tempo di introdurre, così come proposto dal PD in Parlamento, il salario minimo e una legge per l’equo compenso dei professionisti. La legge sulla parità salariale va attuata. Dobbiamo fare nostro l’obiettivo di zero morti sul lavoro entro il 2030 proposto dalla Confederazione europea dei sindacati. Dobbiamo sconfiggere il caporalato e combattere il lavoro nero e irregolare. Non è accettabile che i rider non abbiano diritto all’assicurazione, alle ferie, alla malattia, a niente. Se vogliamo essere credibili per questi lavoratori e lavoratrici dobbiamo essere il Partito che apre il dibattito nel Paese su come scrivere le nuove tutele del lavoro digitale, presumendolo subordinato e pretendendo trasparenza e contrattazione sugli algoritmi. Servono politiche attive più efficaci, così come è necessario completare la riforma degli ammortizzatori sociali.

Infine, è tempo di sperimentare la riduzione dell’orario di lavoro a parità di salario. La settimana di 4 giorni lavorativi può migliorare la qualità del lavoro e il tasso di occupazione, restituire tempo di vita e benessere alle persone, stimolare la produttività e ridurre le emissioni climalteranti.

Parte da noi, l’impegno per un mondo più giusto

In meno di vent’anni le generazioni che non ricordano la caduta del Muro di Berlino hanno subito una crisi dietro l’altra. L’ordine mondiale rischia di essere consegnato alla storia e la globalizzazione è in crisi. Fame, povertà, conflitti e violazioni dei diritti umani crescono e mettono a rischio la pace e la sicurezza globale.

Per proteggere le nostre democrazie, non possiamo girarci da un’altra parte di fronte ai popoli sempre più oppressi da regimi autoritari, violenti, che negano i diritti fondamentali e le libertà. Le donne e i giovani iraniani. Le donne afghane. Il popolo ucraino, che con la resistenza contro la guerra di aggressione di Putin ha risvegliato le coscienze di tutto il mondo.

Sosteniamo e sosterremo l’Ucraina con ogni forma di assistenza necessaria a difendersi, senza però rinunciare alla nostra convinzione che le armi non risolvano i conflitti. Serve un maggiore sforzo politico e diplomatico dell’Unione europea, insieme ai nostri alleati e in seno alla Comunità internazionale, per creare le condizioni che portino ad un cessate il fuoco e all’avvio di una Conferenza di pace multilaterale che possa portare alla fine della guerra.

In un mondo sempre più instabile, dobbiamo rilanciare con forza il progetto federalista europeo. Un’Unione più democratica, multilateralista, sociale e ecologista.

L’Europa sta cambiando. La reazione dell’Unione alla pandemia è stata forte e non scontata. Tuttavia, il progetto di integrazione è rimasto incagliato negli egoismi nazionali e rimane molto da fare. I nazionalisti dicono che trincerarsi dietro i propri confini risolva i problemi, ma sono smentiti dall’evidenza dei fatti. La soluzione non è rinunciare allo spazio europeo, ma ampliarne la dimensione democratica. È necessario modificare il Patto di stabilità e crescita e dare alla BCE un mandato orientato anche verso la piena occupazione. Dobbiamo promuovere una fiscalità europea e contrastare i paradisi fiscali e l’evasione ed elusione fiscale delle multinazionali. Realizzare un’infrastruttura europea di ricerca e sviluppo nella salute. Completare le riforme per regolare l’economia digitale. Cambiare i Trattati per superare l’unanimità in alcune politiche strategiche di fronte alle sfide che non trovano più soluzione entro i ristretti confini nazionali. Il parlamento europeo deve essere anche un modello di trasparenza, con norme e controlli molto più stringenti sull’operato delle lobby all’interno delle istituzioni. La questione morale dev’essere centrale nel partito che vogliamo ricostruire a partire dal metodo e dalla formazione della nuova classe dirigente.

Cambiare insieme il Partito democratico

Il Partito democratico va reso più aperto e accogliente, più in grado di raccogliere e rispondere ai bisogni delle persone. Dobbiamo liberarlo dalle vecchie logiche, superando personalismi e conflittualità interne, riaprendo e rianimando il dibattito all’interno dei circoli, a cui deve andare almeno il 30 per cento del 2×1000.

Cambiare le forme organizzative e i processi di discussione e decisione è una condizione necessaria per costruire un nuovo PD.

Non ci serve un partito degli eletti, né un partito delle correnti, ma un partito che dia voce alla sua base, perché senza la base, scordatevi le altezze. Un partito che si fidi della sua comunità, che sappia valorizzare e mettere a valore le competenze e i saperi di militanti, amministratrici e amministratori, e rappresentanti nelle Istituzioni. Non ci serve un uomo solo al comando, né una donna sola al comando, ma cambiare il modello di leadership affinché sia più condivisa e plurale, affinché valorizzi l’intelligenza collettiva che il partito esprima, puntando sulle persone più competenti anziché su quelle più fedeli, superando le logiche di cooptazione che troppo spesso hanno schiacciato capacità ed energie fresche e libere.

È necessario approvare una legge sui partiti e movimenti politici, per dare piena attuazione all’art. 49 della Costituzione e consentire il sostegno chiaro e trasparente dell’attività politica nel nostro Paese, rafforzando il 2×1000. Dobbiamo cambiare la legge elettorale, restituendo ai cittadini la possibilità di scegliere chi mandare in Parlamento. A legge invariata, selezioneremo le candidature al Parlamento con le primarie.

Dobbiamo rendere il più possibile aperti, inclusivi e coinvolgenti i percorsi di discussione e formazione delle scelte politiche e programmatiche attraverso procedure di democrazia deliberativa e referendum degli iscritti e dei sostenitori sulle decisioni più importanti. La Conferenza programmatica annuale deve diventare una grande occasione di confronto, discussione e partecipazione con la società civile, i saperi dei mondi associativi, del terzo settore, sindacali, delle categorie economiche e professionali ed accademici, così come delle espressioni genuine di civismo e delle nuove mobilitazioni delle giovani generazioni.

È indispensabile che il Partito ricominci a investire sulla formazione politica e valorizzi il protagonismo degli amministratori e delle amministratrici, affinché la buona pratica di un’amministrazione diventi patrimonio collettivo che si estende e proposta del Partito. Il percorso di ricostruzione dell’identità politica del PD ha bisogno del contributo dei Giovani Democratici e di un ruolo più forte della Conferenza delle donne e della rete dei circoli PD in Europa e nel mondo. Dobbiamo promuovere la partecipazione politica delle nuove italiane e dei nuovi italiani innanzitutto nel Partito.

E’ il nostro tempo

Il nostro è un appello a chi è rimasto più schiacciato da questi anni di crisi, a tutte le persone che si sono sentite ai margini della politica, che hanno pensato che la politica non fosse più uno strumento per migliorare le condizioni di vita delle persone e del nostro pianeta. A donne e giovani che sono sottorappresentati nel Paese e nel Partito. Adesso è il nostro tempo, per ricostruire insieme. Rifuggendo la logica del potere per il potere, ma puntando al potere di migliorare la vita delle persone e del Pianeta.

Prendetevi il vostro spazio, prendetevi la vostra voce. Facciamolo insieme. Questa può diventare la casa di tante e tanti che non si sono sentiti ascoltati, che si sono sentiti respinti.

Se non ci occupiamo di politica lei si occuperà comunque di noi, e altri faranno scelte che ricadranno comunque sulle nostre vite. Quindi non abbiamo scelta: dobbiamo fare la nostra parte, essere parte del cambiamento che vogliamo generare nella società.

Parte da noi. Da oggi ci mischiamo, ci organizziamo. Da oggi chi arriva, arriva alla pari. Senza schemi preimpostati né accordi di autoconservazione politica. Non siamo qui a offrire posti, ma un posto nuovo dove ricominciare a sentirci a casa, per ritrovare la speranza e la motivazione dell’appartenenza a questo Partito e a questa comunità.

Il Partito Democratico ha bisogno di essere mobilitato, non immobilizzato. Serve un rinnovamento del gruppo dirigente a tutti i livelli, non una nuova rottamazione ma un ponte tra le energie migliori che ci sono già dentro al PD e quelle che fuori non si sono più sentite ascoltate e rappresentate. Un rinnovamento per scalzare le dinamiche di cooptazione correntizia di chi non ce la fa ancora a pensare che una donna o un giovane possano farsi strada senza farsi strumento di altri.

La nuova classe dirigente c’è già, è già pronta. Siamo qui non per fare una nuova corrente né per tenerci quelle di prima ma per superarle con un’onda di partecipazione, mischiando le nostre storie e mettendole a valore. Aprendo insieme una stagione nuova.

Il nuovo PD non si farà da solo. Non si farà senza le ragioni e la storia della sinistra. Non si farà senza la comunità democratica. Parte da noi, dall’impegno che ci mettiamo, questa nuova storia che attraversi il Paese per cambiarlo! Forza! partedanoi.it ellyschlein.it

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