Un futuro più giusto:
contrastare ogni forma di diseguaglianza e discriminazione
In questi anni di crisi le diseguaglianze hanno raggiunto livelli spaventosi. Si manifestano in una fortissima concentrazione della ricchezza in poche mani, nella polarizzazione tra lavori tutelati e precari, ben retribuiti o mal pagati. Nei divari salariali, occupazionali e pensionistici che colpiscono le donne. Nella concezione patriarcale della famiglia. Nella povertà educativa e nella malnutrizione che colpiscono i minori. Nella discriminazione dei migranti, nel razzismo, nella ricattabilità di chi è senza tutele. Nelle barriere architettoniche. Nei divari territoriali. Nella mancanza di voce e di peso nei luoghi dove si decide.
Noi vogliamo proporre un nuovo contratto sociale.
Per contrastare le diseguaglianze e emancipare le persone dal bisogno. Per rispondere alla domanda di protezione di chi è rimasto ai margini dei cambiamenti. Perché chiunque possa realizzare il proprio percorso di vita. Per accompagnare la conversione ecologica e digitale senza lasciare indietro nessuno.
Dobbiamo cambiare il modello di sviluppo in modo da combattere le diseguaglianze partendo da dove si formano. E dobbiamo riscoprire una parola fondamentale: redistribuzione. Delle ricchezze, del sapere, del potere, del tempo.
Un nuovo contratto sociale vuol dire lottare per un grande investimento nella sanità pubblica e universalistica, difenderla dagli attacchi di chi la vuole tagliare e privatizzare. Il Servizio sanitario nazionale oggi è a rischio. Milioni di persone devono fare i conti ogni giorno con liste di attesa infinite. Hanno difficoltà enormi ad accedere ai medici di famiglia e ai pediatri. Per curarsi, spesso sono costrette ad andare in un’altra regione o a rivolgersi alla sanità privata, se possono permetterselo. Dobbiamo investire di più sul settore pubblico, allineando gli stanziamenti con la media europea, per realizzare una sanità sempre più territoriale e domiciliare. Per ammodernare gli ospedali, potenziare l’offerta diagnostica e valorizzare i professionisti della sanità. Dobbiamo aumentare i posti di specializzazione e l’offerta didattica delle facoltà di medicina. Investire sull’assistenza domiciliare integrata per le persone anziane e non autosufficienti e ramificare una rete capillare di presìdi sociosanitari territoriali, come le case della comunità, che avvicinino la risposta a dove le persone esprimono il proprio bisogno di cura.
Un nuovo contratto sociale vuol dire immaginare un nuovo welfare di prossimità, che non si limiti ad assistere bensì a costruire percorsi di emancipazione e di autonomia. Perché in questo Paese bisogna tornare a dire con forza che il welfare non è un costo. È un investimento. È necessario investire nelle infrastrutture sociali e nei servizi per le persone con disabilità e le persone anziane non autosufficienti e approvare una legge sui bisogni dei caregiver. Bisogna garantire il diritto all’autodeterminazione per le persone con disabilità, investendo sui progetti su “Vita indipendente” e “Dopo di noi”, sull’inserimento lavorativo, ma anche assicurando l’abbattimento di ogni barriera, architettonica, sociale e culturale, aumentando insegnanti ed educazione di sostegno, senza dimenticare diritti troppo spesso ignorati come quello all’affettività e alla sessualità. Il reddito di cittadinanza non va abolito: va migliorato, raccogliendo le proposte avanzate dalla Commissione Saraceno e delle realtà del terzo settore che ogni giorno combattono contro la marginalizzazione. Un nuovo contratto sociale vuol dire ricominciare a credere e investire nell’istruzione pubblica come primo grande strumento di emancipazione sociale.
Non si può parlare di merito prima di aver garantito a tutte e tutti pari opportunità e diritti di accesso a un’istruzione di qualità. Un’educazione che parta dai primissimi anni di vita e che estenda l’obbligo formativo a 18 anni. Bisogna restituire dignità al ruolo sociale di chi insegna. Ridurre il numero di bambini e bambine nelle classi e ampliare il tempo pieno. Garantire la presenza di insegnanti e personale educativo di sostegno. Rendere gratuito l’accesso all’istruzione garantendo i libri di testo, il trasporto pubblico, le rette universitarie per le famiglie più fragili e quelle del ceto medio. Fare un grande investimento sull’educazione dell’infanzia che contrasti da principio le diseguaglianze e la povertà educativa e supporti le famiglie nella conciliazione tempi di vita e lavoro. Creare lavoro di qualità in questi servizi liberando il tempo delle donne su cui grava sproporzionatamente il carico di cura.
Un nuovo contratto sociale vuol dire progressività fiscale: chi ha di più deve contribuire in proporzione maggiore al benessere collettivo. La destra promette meno tasse per tutte e per tutti. La “flat tax”. I condoni. Sono promesse avvelenate, perché le tasse pagano i servizi essenziali per tutta la comunità. Per fare funzionare meglio l’Italia dobbiamo rendere più equo ed efficiente il sistema fiscale. La strada da seguire è spostare il carico fiscale dal lavoro e dall’impresa alle rendite e alle emissioni climalteranti. Superare la proliferazione di regimi speciali di favore. Fare pagare le tasse a chi le evade. Redistribuire i redditi e la ricchezza. Il sistema fiscale italiano deve diventare più chiaro, comprensibile e semplice. In una riforma fiscale complessiva e progressiva anche il tema dei grandi patrimoni deve essere affrontato in un’ottica redistributiva, a partire dall’allineamento della tassa sulle donazioni e successioni al livello degli altri grandi Paesi europei, come propone il Forum Disuguaglianze e Diversità.
La fiscalità può essere un grande strumento per orientare gli investimenti verso la conversione ecologica, la trasformazione digitale, la riduzione delle diseguaglianze sociali e di genere. Un nuovo contratto sociale vuol dire un sistema previdenziale che superi le rigidità della riforma Fornero, vuol dire lottare per ripristinare opzione donna, rendendola meno penalizzante, e introdurre una pensione di garanzia per i giovani che hanno avuto lavori intermittenti e precari. Vuol dire rimettere al centro della nostra azione politica il diritto fondamentale alla casa, rilanciando l’edilizia residenziale pubblica e rafforzando gli strumenti per chi è più in difficoltà a pagare l’affitto e per recuperare al mercato delle locazioni una parte delle abitazioni sfitte. Ridurre le diseguaglianze significa anche contrastare ogni forma di discriminazione.
Una sinistra all’altezza delle sfide del presente non può che essere femminista. Siamo una società patriarcale in cui le donne subiscono discriminazioni strutturali in ogni sfera di vita. Dobbiamo pensare e realizzare ogni politica pubblica guardando al mondo attraverso un dimensione di genere che assicuri di scrivere ogni politica attraverso lo sguardo delle donne, e non sulle donne. Per superare le diseguaglianze di genere in ambito lavorativo serve sostenere l’occupazione femminile, la formazione di donne e ragazze in tutte le discipline contro ogni stereotipo di genere, e supportare l’imprenditorialità femminile. Non basta rafforzare le politiche di conciliazione dei tempi di vita e lavoro, c’è bisogno di una redistribuzione del carico di cura che grava sproporzionatamente sulle spalle delle donne. Per questo insistiamo che si approvi un congedo paritario pienamente retribuito e non trasferibile tra genitori di almeno 3 mesi. Noi difendiamo il diritto delle donne a decidere sul proprio corpo, a interrompere volontariamente una gravidanza in modo sicuro e legale, attuando pienamente la legge 194, garantendo una percentuale di medici non obiettori in tutte le strutture e prevedendo l’accesso gratuito alla pillola RU486. Ci battiamo per tutelare il diritto di tutte le donne a vivere una vita libera dalla violenza maschile.
Il Partito Democratico che vogliamo è in prima linea per i diritti LGBTQIA+. Dobbiamo continuare a batterci per una legge contro l’omobilesbotransfobia, l’abilismo e il sessismo, per contrastare le discriminazioni e l’odio che colpiscono ogni giorno le persone. Vogliamo che il matrimonio sia un istituto aperto a tutte e tutti, con il pieno riconoscimento dei diritti delle famiglie omogenitoriali e la fine della discriminazione subita dalle loro figlie e figli, e il contrasto alle teorie riparative. Dobbiamo promuovere l’educazione alle differenze nelle scuole e nelle pubbliche amministrazioni. Per sradicare gli stereotipi sessisti, razzisti e contro le persone LGBTQIA+ e con disabilità prima che sia troppo tardi, per agire sulle differenze prima che diventino diseguaglianze. Non per cancellarle, ma per metterle a valore assicurando a tutte e tutti pari diritti e opportunità.
Nell’Italia che immaginiamo la cittadinanza non è un privilegio riconosciuto per sangue, ma il segno di appartenenza a una comunità democratica aperta, solidale, inclusiva attraverso l’approvazione di una legge sullo Ius soli. Il Partito Democratico che vogliamo costruire ha l’ambizione di cambiare le politiche migratorie e dell’accoglienza italiane ed europee, riformando il regolamento di Dublino, cancellando la Bossi-Fini e approvando una nuova legge sull’immigrazione. E non finanziando mai più la Guardia costiera libica che viola i diritti fondamentali di chi fugge da discriminazioni e torture. Ridurre le disuguaglianze vuol dire anche investire nella cultura come elemento essenziale di emancipazione sociale e di sviluppo della società, nello sport e nella cultura del movimento come vettore straordinario di inclusione, di formazione, di benessere e salute delle persone. Vuol dire coniugare l’innovazione digitale con la giustizia sociale, affinché sia un’opportunità per tutte e tutti e non un privilegio di pochi.
Difendere lo Stato di diritto, garantire l’eguaglianza di tutte le cittadine e i cittadini di fronte alla legge, tutelare la sicurezza di tutte e tutti come fondamentale diritto di libertà. Significa liberare le persone dall’oppressione delle mafie con un contrasto serrato alla criminalità organizzata e alla corruzione. Ci impegneremo anche per battaglie giuste su cui si sono mobilitate le nuove generazioni come la legalizzazione della cannabis e l’approvazione di una legge sul fine vita. E ci batteremo per ridurre i divari territoriali del nostro Paese. Il disegno di legge di Calderoli sull’autonomia differenziata è una proposta inaccettabile e inemendabile, che scavalca Regioni e Parlamento e cristallizza le disuguaglianze territoriali. La strada da seguire è un’altra: tornare a investire sugli enti locali, affrontare la questione meridionale come una grande questione nazionale, perché non c’è riscatto per l’Italia senza il riscatto del Sud, attraverso investimenti e nuove direttrici di sviluppo innovativo sull’economia della cura, sul digitale, sull’energia pulita, sostenere la creazione di lavoro di qualità e di buona impresa a partire dalle startup di giovani e con nuove politiche industriali. Al contempo occorre rilanciare politiche mirate per le aree interne, i territori montani, le isole, contrastando lo spopolamento attraverso i servizi e gli investimenti necessari a offrire nuove opportunità di sviluppo.
Tutte queste non sono rivendicazioni slegate tra loro. Ognuna di esse è connessa all’altra, perché molteplici sono le esperienze di vita che una stessa persona può attraversare, e le discriminazioni che possono colpire ogni persona sono almeno tante quante sono le sfaccettature delle nostre molteplici identità. Questo insegna l’approccio intersezionale, che i sistemi discriminatori e oppressivi non agiscono isolati ma interagiscono tra loro rafforzandosi. Quindi non abbiamo scelta: dobbiamo unire le lotte per la giustizia climatica e sociale, per i diritti sociali e civili.