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REPORT DELLE VISITE AGLI HOTSPOT DI TRAPANI E LAMPEDUSA | 20-22 luglio 2016

Elly Schlein, Parlamentare Europea
Alessandra Ballerini, avvocata, Terre des Hommes, LasciateCIEntrare

HOTSPOT TRAPANI 20/07/16

Il 20 luglio 2016 abbiamo fatto ingresso nell’hotspot di Trapani. Quello di Trapani viene considerato il “gioiello” degli hotspot, tanto che le varie delegazioni di ONG e parlamentari anche stranieri vengono “invitate” a visitarlo, diversamente da quanto avviene per le altre strutture, generalmente inaccessibili per il mondo esterno. Eppure, si tratta, come in tutti i casi di hotspot, di strutture che non sono sorte in base a una legge, e che quindi non rispettano la riserva di legge esplicitamente prevista in Costituzione all’art. 10, né le libertà e garanzie previste dall’art. 13 della Costituzione. Fino al 22.12.2015 la struttura era adibita a CIE, e in seguito ad alcuni lavori di ristrutturazione è diventata un hotspot per l’identificazione dei migranti appena sbarcati a Trapani e in altri porti siciliani. Un passaggio che ci dicono essersi svolto nell’arco di pochi giorni. A quanto ci risulta è accaduto che si inviassero a Trapani anche dei profughi già ampiamente identificati, sbarcati tempo prima ed arrivati sino a Ventimiglia nella speranza, vana, di varcare la frontiera con la Francia (e poi lì “catturati” e riaccompagnati indietro, appunto, da dove erano arrivati).

Presenze:
Al momento della nostra visita i profughi presenti sono 180. La capienza, da quando la struttura ha cambiato destinazione, è di 400 posti, ma fino a dicembre, quando era adibita a CIE, era di 204. Ora, in casi di emergenza le persone presenti nel centro arrivano fino a 700.
Quando siamo entrate stavano dimettendo circa 70 persone destinate al Lazio, ma contemporaneamente ne stavano arrivando 378 provenienti da un’imbarcazione di salvataggio di Emergency in arrivo al porto di Trapani.

Permanenza media:
La permanenza media è di 5 giorni, ci dicono, che possono arrivare ad un massimo di 13 quando è difficile trovare posto negli Hub regionali. Il centro è chiuso e chiediamo se i profughi possono uscire; ci rispondono che, teoricamente, se fanno domanda possono uscire, ma fuori c’è il nulla e non ci sono navette, e i trasferimenti verso altre strutture del territorio sono repentini, quindi di fatto non esce nessuno.

Ente gestore ed operatori presenti:
Dentro l’hotspot lavorano gli operatori dell’ente gestore Cooperativa Badia Grande (3 psicologhe, 2 assistenti sociali, 2 operatori legali non avvocati, 1 medico, mediatori), ed anche gli operatori di: UNHCR, OIM, FRONTEX (16 persone divise in squadre con un capo team italiano), EASO (4 operatori), e dal mese di aprile medici specialistici dell’INMP (un dermatologo ed un infettivologo), presenti 9 ore e mezza al giorno. Sia la polizia che Frontex ed Easo sono dotati di loro mediatori linguistici (anche per capire il paese di provenienza dei profughi).

Minori e donne:
Qui vengono spesso trattenuti interi nuclei familiari con bambini piccoli (anche neonati). I minori stranieri non accompagnati (MSNA) sono numerosissimi (ci dicono oltre al 30%), e spesso anche molto piccoli (anche 10 anni o meno). E’ cresciuta anche la presenza femminile, specie di giovani donne nigeriane.

Kit all’arrivo:
All’ingresso viene distribuito un borsone con il kit contenente: 3 schede telefoniche da 5 euro (insufficienti per i tempi di permanenza prolungati che si verificano), 2 lenzuola di carta, 1 federa monouso, 1 pettine, 3 asciugamani, 4 calze, un paio di ciabatte, un pigiama, un rotolo di carta igienica, 4 mini doccia shampoo, un paio di scarpe, 4 slip, un set dentifricio e spazzolino, 4 magliette, 2 tute; per le donne sono previsti anche un reggiseno e un pacco di assorbenti. Non sono ancora stati installati i telefoni pubblici quindi i profughi utilizzano i cellulari (quando ne sono in possesso), oppure un telefono messo a disposizione dell’ente gestore.

Procedure:
Appena fanno ingresso nell’hotspot i profughi vengono sottoposti ad una preidentificazione, attraverso la compilazione del cd. foglio notizie, viene data loro una prima informativa giuridica, vengono sottoporti a screening sanitario (ulteriore rispetto a quello effettuato al momento dello sbarco) e poi viene distribuito loro il kit di accoglienza e assegnato il settore del dormitorio.
Solo il giorno dopo vengono sottoposti all’identificazione vera e propria, con fotosegnalamento e impronte, alla presenza della polizia e del personale di Frontex ed Easo.
Per quanto riguarda i minori non accompagnati, quando vi è un dubbio sull’età, vengono sottoposti ai raggi del polso in ospedale, metodo che è notoriamente inadeguato, poiché invasivo e con alto margine di errore. I servizi sociali intervengono sia al porto che nell’hotspot e poi le comunicazioni che riguardano i minori vengono inoltrate alla procura presso il Tribunale dei minori.

Vulnerabilità:
Le psicologhe raccontano che quasi tutti i profughi sono evidentemente vittime di traumi, torture e violenze sessuali (anche e soprattutto durante i periodi di prigionia in Libia). Nei casi di vulnerabilità più accentuate viene redatta una relazione che viene consegnata al diretto interessato insieme alla sua cartella clinica, al momento dell’uscita. Per quanto riguarda le patologie, quelle riscontrate maggiormente sono scabbia e varicella.

Strutture:
La struttura è composta dagli uffici amministrativi, di polizia e dagli ambulatori, dai numerosi dormitori (12 letti, 3 docce e WC in ciascuno), e da una grande sala mensa (120 posti) all’interno della quale vi è una piccola stanza adibita a moschea ed una ludoteca. Adiacenti all’hotspot sono anche gli uffici della Commissione territoriale di Trapani, cui accedono altri profughi già in accoglienza presso altre strutture. Per chi si trova all’interno dell’hotspot, infatti, non è possibile compilare il modulo C3 per formalizzare la domanda di protezione internazionale, bensì solo manifestare la generica volontà di chiedere asilo. Tale manifestazione, se puntualmente registrata, dovrebbe evitare i respingimenti differiti ai quali sono invece sottoposti i migranti ritenuti non richiedenti asilo. In questo caso verranno colpiti da un decreto di respingimento differito e successivamente, se c’è disponibilità di posti, trattenuti nei Cie per poi essere espulsi. Ma nella più parte dei casi ci si trova di fronte all’indisponibilità di posti nei CIE, e i migranti riceveranno il decreto con ordine di lasciare il territorio entro 7 giorni via Fiumicino.
Il funzionario di polizia confermava che, in virtù degli accordi di riammissione stipulati dall’Italia con Tunisia ed Egitto, avvengono spesso respingimenti verso questi due paesi.

Sbarco:
Al Porto di Trapani abbiamo assistito allo sbarco di 378 persone, alla presenza degli operatori di: Croce Rosse Italiana, Protezione civile regionale e comunale, Save the Children, UNHCR, Frontex, EASO, medici ospedalieri e ASP, polizia. Le organizzazioni presenti sembrano rodate nelle procedure, e paiono muoversi a sistema, quindi tutto avviene in un contesto ben coordinato: appena attracca la nave sale un medico per verificare se ci sono casi gravi da portare in cura subito, poi le persone cominciano a scendere, vengono date loro delle scarpe, acqua e un panino, e si siedono all’ombra dei tendoni nell’attesa dei controlli sanitari, prima di essere trasportati nell’hotspot. Le procedure di sbarco, dopo averne fatte centinaia, diventano quasi meccaniche, senz’altro agli occhi esterni un po’ asettiche.

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HOTSPOT LAMPEDUSA 21/7/2016

La sensazione qui è che la visita, per quanto annunciata e autorizzata, non sia mai gradita..L’anticamera dura meno delle altre volte anche perché un’europarlamentare con una collaboratrice già autorizzata con fax dalla prefettura non sono facili da respingere.
Ci dicono che stanno aspettando la visita della Commissione parlamentare d’inchiesta per il monitoraggio dei centri, e ci fanno capire che quindi non c’è tempo per noi, né ce ne sarà nel pomeriggio. Suggeriamo di iniziare la visita ed eventualmente continuarla l’indomani, ma ci viene detto che l’autorizzazione per la collaboratrice vale solo per quel giorno e non è possibile farla valere per il giorno dopo. E’ sempre una lotta per esercitare un semplice diritto/dovere che discende dal mandato di ogni parlamentare, di verifica delle condizioni dei luoghi dove le persone vengono detenute.

Capienza:
Da un punto di vista formale il centro avrebbe, da convenzione, una capienza di 381 posti, anche se secondo le circolari ministeriali da quando è diventato hotspot potrebbe contenere fino a 500 persone. Dopo l’incendio -avvenuto il 19 maggio scorso- di uno dei padiglioni, la capienza reale si è ulteriormente ridotta di almeno 140 posti, anche se il nuovo bando di gara per la assegnazione della gestione prevede ancora 381 unità. E i lavori per sistemarlo sembrano ancora ben lontani dall’iniziare.

Presenze:
Al momento della nostra visita nell’hotspot si trova un numero relativamente basso di persone, almeno rispetto ai numeri abituali di presenze. I profughi trattenuti sono 350, tra cui una ventina di donne, alcuni nuclei familiari con 6 bimbi piccoli, e una decina di minori stranieri non accompagnati (MSNA).

Strutture:
I padiglioni dentro il cosiddetto “gabbio” (ovvero la parte interna del centro) sono composti da 7 stanze da 12 letti, ma in alcune stanze i letti sono a castello, quindi diventano 24, o addirittura 36 se viene estratto il materassino che si trova sotto il letto più basso. Le docce per tutte e sette le stanze sono 8, mentre i wc sono 12 (alla turca e in condizioni pessime).
Nel settore dei minori stranieri non accompagnati (che a volte sono molto numerosi e raggiungono percentuali anche superiori al 30% delle presenze) le docce non sono state neppure previste e i wc sono inagibili da mesi.
Nel settore donne / nuclei familiari con minori sono presenti 6 stanze da 6 letti (che possono diventare anche il doppio).
Non esiste una mensa, quindi i profughi devono consumare i propri pasti a letto oppure all’aperto.
I padiglioni sono strutture prefabbricate, in cattive condizioni quando non fatiscenti, non sono isolati termicamente e manca un sistema di ventilazione adeguato; caldissime e soffocanti in estate, gelide in inverno. Manca un servizio di pulizia adeguato ma anche interventi di mera manutenzione della struttura.

Area per le persone affette da scabbia:
Sopra gli uffici amministrativi e l’infermeria è ubicato uno stanzone adibito ai profughi affetti da scabbia e da altre patologie. Solo dopo molte insistenze siamo riuscite a visitare quest’area, particolarmente calda e maleodorante. I gabinetti erano particolarmente sporchi, tanto da apparire inagibili. In quel momento era presente un solo trattenuto, disteso su uno dei tanti materassini di gommapiuma sistemati uno accanto agli altri, per lo più sprovvisti di lenzuola. Altri profughi, considerati “infetti” stavano per essere trasferiti in quella stanza dove -ci dicono e non si fa fatica a credere- i materassi non vengono mai sostituiti, ed essendo patologie che si trasmettono tramite contatto, i rischi di implicazioni sanitarie sono facilmente immaginabili.

Tempi di permanenza:
Tra i profughi ci sono persone rinchiuse da quasi un mese (al momento della visita ci dicono che le persone presenti nel centro da più tempo sono lì dal 29 giugno) ma gli operatori ci raccontano che è capitato di assistere a trattenimenti protratti fino a tre mesi e mezzo.
Eppure, vale la pena ricordarlo, la Costituzione all’articolo 13 sancisce: la libertà personale è inviolabile. Non è ammessa forma alcuna di detenzione, di ispezione o perquisizione personale, né qualsiasi altra restrizione della libertà personale, se non per atto motivato dell’autorità giudiziaria e nei soli casi e modi previsti dalla legge. In casi eccezionali di necessità ed urgenza, indicati tassativamente dalla legge l’autorità di pubblica sicurezza può adottare provvedimenti provvisori, che devono essere comunicati entro quarantotto ore all’autorità giudiziaria e, se questa non li convalida nelle successive quarantotto ore, si intendono revocati e restano privi di ogni effetto. E` punita ogni violenza fisica e morale sulle persone comunque sottoposte a restrizioni di libertà.
E la Costituzione dovrebbe valere anche negli hotspot (che pure sono stati istituiti con circolare e non con legge, e quindi in aperta violazione della riserva di legge posta dalla Carta), e invece manca una legge, manca il provvedimento individuale, manca dunque la sua comunicazione all’autorità giudiziaria ed ovviamente la sua tempestiva (o meno) convalida. Mancano giudici e avvocati. Restano la detenzione prolungata (illegittima), la promiscuità, il degrado e l’impunita violazione della dignità.

Medici:
Il personale medico dell’ente gestore del centro (la Confederazione nazionale delle misericordie d’Italia) è composto da un medico ed un infermiere operativi h24 con turni di una o due settimane consecutive. Vale a dire che dovrebbero lavorare per 24 ore al giorno, senza sosta, per 14 giorni consecutivi e senza alcuna turnazione (considerando che spesso gli sbarchi avvengono in piena notte). Una violazione dei loro più elementari diritti di lavoratori e degli speculari diritti dei profughi di farsi curare da personale vigile e adeguatamente riposato.
Sono presenti due psicologi della cooperativa per 6 ore al giorno.
Inoltre, sono presenti anche medici e operatori dell’Inmp (Istituto Nazionale per la promozione della salute delle popolazioni Migranti e per il contrasto delle malattie della Povertà): un infettivologo, un dermatologo, una pediatra, uno psicologo e un mediatore.

Sbarco:
Il mattino dopo verso le 6.30 assistiamo allo sbarco di 126 persone al molo, in presenza dell’ente gestore, delle autorità di Polizia e Guardia di Finanza, di una decina di agenti Frontex (che però durante lo sbarco non pare svolgano alcun ruolo), di operatori EASO, di un’ambulanza e un medico. Noi siamo poco più in là, con gli straordinari volontari del Forum Lampedusa Solidale, che nella fretta con cui sono gestite le operazioni riescono comunque ad offrire un tè caldo, coperte termiche, merendine e pupazzetti per bambini. Ed è incredibile quanta differenza faccia per persone che scendono stremate, ustionate dalla benzina, traumatizzate dal viaggio, un sorriso ed un po’ di calore umano. Quello di questi volontari è il volto migliore che possiamo offrire a chi arriva.

In seguito, torniamo all’hotspot per concludere la visita. Abbiamo l’impressione di essere di nuovo ospiti sgradite, poiché arriviamo nel momento delicato delle identificazioni dei nuovi giunti. Ci confrontiamo a lungo con operatori e mediatori delle ONG (Save the Children (3), Oim (1) e Unhcr (4) ), presenti nel centro solo nelle ore diurne. Ci viene confermato che ancora oggi, nonostante la presenza nel centro di personale di polizia dell’Ufficio immigrazione, non è possibile formalizzare la domanda di asilo tramite il modulo C3 direttamente nell’Hotspot, e quindi è impossibile per il richiedente asilo avere in mano una prova certa della sua manifestazione di volontà di richiedere protezione internazionale. Questa mancanza può comportare che il richiedente, una volta trasferito altrove, non venga riconosciuto come tale e venga colpito da decreto di respingimento cd. differito, che gli impone di allontanarsi dal territorio dello Stato entro 7 gg coi suoi propri mezzi. Mentre parliamo con gli operatori delle ONG, si svolge la preidentificazione dei profughi (con foto e assegnazione di un codice) e ancora non è iniziata l’identificazione vera e propria (con rilievi fotodattiloscopici), eppure lo sbarco era avvenuto 4 ore prima e le persone interessate erano solo 126.
Durante questa procedura viene fatto firmare dai nuovi giunti, ancora in stato confusionale post approdo, senza che sia stata ancora fornita loro l’infomativa sui propri diritti e le procedure, il cosiddetto “foglio notizie”, sul quale viene indicato, insieme alle generalità, il motivo del viaggio in Italia. Se mal compilato, questo modulo prestampato a risposta multipla può implicare che si venga qualificati come “migranti eonomici”, ritenuti indegni di protezione e come tali immediatamente espellibili.

Easo e Frontex:
All’interno dell’Hotspot sono presenti anche 5 operatori di Easo (che si occupano dell’informativa sulle possibilità di ricollocamento, con l’ausilio dell’Unhcr) e 24 di Frontex, che si occupano, a quanto ci dice il team leader, di aiutare a prendere le impronte e di raccogliere informazioni sulle reti di trafficanti.

Kit all’arrivo:
Ai trattenuti viene erogato un kit allo sbarco che ci dicono essere spesso insufficiente ed inadeguato, specie per i tempi di permanenza lunghi che si verificano (i profughi rinchiusi da circa un mese pare non abbiano ancora ricevuto un nuovo kit). Inoltre, non esiste un sistema di lavanderia e dunque è impossibile lavare la biancheria o gli abiti. Apprendiamo dalla visita effettuata dalla Commissione parlamentare che da circa un mese viene sospesa l’erogazione dell’acqua (peraltro salata) per molte ore e senza preavviso.
Il pocket money (pari a euro 2,50 al giorno) spesso non viene erogato ed al suo posto l’ente gestore fornisce un pacco di biscotti dal valore commerciale di soli 44 centesimi. A volte i profughi preferiscono cumulare i pocket money e barattarli con sigarette o con schede telefoniche, poiché le tre schede telefoniche da 5 euro distribuite dall’ente gestore solo all’arrivo non bastano quando la permanenza si allunga.
Peraltro abbiamo potuto constatare, assistendo alla distribuzione dei kit e delle schede telefoniche, che nessuna informativa veniva fornita ai profughi i quali si trovano costretti a firmare una ricevuta di consegna illeggibile e a tenere tra le mani un foglietto con un numero telefonico e un codice che servirebbe per fare le telefonate dalla cabina, ma senza avere idea su come si usi, tanto da chiederlo a noi.

Minori:
Ulteriori criticità si riscontrano sul fronte dei minori, questi infatti rimangono nel centro illegittimamente (dovrebbero essere destinati immediatamente a strutture dedicate) e in condizioni di promiscuità con gli adulti, per tempi medi di 25 giorni. Accade spesso, quando si tratta di minori non bambini e vi sia un dubbio sulla minore età, che gli stessi vengano sottoposti all’esame a raggi del polso presso l’ambulatorio dell’Isola, seppure tale esame sia notoriamente desueto, invasivo e abbia un alto margine di errore. Ed infatti può capitare che minori considerati tali anche da referto della pediatra e della psicologa, vengano comunque, all’esito dell’esame radiologico, certificati come maggiorenni. In questi casi dubbi dovrebbe prevalere la presunzione di minore età.

Conclusioni:
Appare evidente complessivamente come l’ente gestore non garantisca affatto tutti i servizi previsti nel capitolato d’appalto e nelle specifiche tecniche integrative al capitolato pubblicate dalla prefettura di Agrigento.
Peraltro, nonostante la relazione sulle condizioni del centro presentata al Ministero dell’Interno dalle organizzazioni umanitarie presenti dentro il centro (UNHCR e OIM) descrivesse già a gennaio le condizioni degradanti constatate, non risulta che siano stati effettuati controlli di sorta dal Ministero o dalla Prefettura sulla reale erogazione di beni e servizi.
A Lampedusa, come dicevamo già dopo la visita di sei mesi fa, non può esserci un hotspot: l’isola può rimanere, come da sua generosa tradizione, un porto di primissimo soccorso per gli approdi di persone in gravi condizioni di salute per le quali sarebbe impossibile proseguire la navigazione fino agli altri porti siciliani. Ma non può diventare un luogo di detenzione prolungata. E peraltro non se ne vede la necessità, visto che da quando sono attive le missioni di ricerca e soccorso in mare, la maggior parte dei profughi vengono intercettati molto prima di arrivare a Lampedusa, ed accompagnati direttamente sulla terra ferma in altre strutture.

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