Sabato 10 ottobre a Bellinzona, ad accogliere Lisa Bosia Mirra, di ritorno dalla sua marcia a favore dei diritti dei migranti che ha percorso tutta la Svizzera (vedi qui), c’era anche la parlamentare europea Elly Schlein. Abbiamo chiesto all’eurodeputata di spiegarci la sua presenza a Bellinzona e di approfondire il tema dell’importante revisione apportata al regolamento di Dublino, che riguarderà anche la Svizzera…
Elly Schlein, come mai ha deciso di essere presente a Bellinzona, al ritorno della “Bainvegni Fugitivs Marsch” della granconsigliera Lisa Bosia Mirra?
Con Lisa ho da tempo un grande rapporto d’amicizia e una condivisione delle battaglie per i diritti umani. Non c’era occasione migliore per venire qui a Bellinzona, invitata da Amnesty. Oggi (il 10 dicembre, ndr) si festeggiava anche la Giornata mondiale dei diritti umani. Quanto è stato fatto con questa marcia di 1’000 chilometri per la Svizzera credo sia qualcosa di straordinario. È stata una marcia per ricordarci che stiamo parlando di persone che fuggono dalla guerra, dalle discriminazioni e dalla disperazione, e che siamo tutti chiamati alle nostre responsabilità. Questo non solo perché lo dicono i trattati e le convenzioni internazionali, oltre alle nostre costituzioni, ma anche perché come esseri umani, penso si debba avere empatia verso chi si trova in una situazione di grave difficoltà.
Lei ricopre la carica di deputata del Parlamento europeo. Vista da Bruxelles, qual è la gravita dell’attuale situazione per quanto riguarda le migrazioni?
Bisogna distinguere fra i livelli di responsabilità. Il Parlamento europeo ha votato a più riprese, da ultimo nell’importante voto di tre settimane fa sulla riforma di Dublino, di cui ero una delle relatrici, per lanciare un segnale di solidarietà e per condividere equamente le responsabilità fra tutti gli Stati membri dell’Unione europea. È una rivendicazione che portiamo avanti da tempo. Chiediamo anche vie legali e sicure per i migranti perché possano accedere all’Unione europea. È l’unico modo per contrastare efficacemente i trafficanti di essere umani. Spostare le frontiere più a Sud, tramite degli accordi con la Turchia e la Libia, che violano i diritti umani, non è la risposta. L’unico modo è fornire una via legale d’accesso che permetta di non doversi affidare ai trafficanti. Se questo lo facessero tutti i membri dell’Unione europea fermeremmo le morti nel mare.
Sul regolamento di Dublino quello che abbiamo fatto è dare un segnale ai Governi europei, le cui politiche purtroppo in questo momento vanno nella direzione dell’esternalizzazione delle frontiere. Abbiamo cancellato quel criterio ipocrita alla base del regolamento di Dublino, che prevede che bisogna obbligatoriamente chiedere la domanda di asilo nel primo Paese di accesso irregolare. Lo abbiamo sostituito con un meccanismo permanente e automatico di ricollocamento, che tenga in considerazione anche i legami esistenti dei migranti con i Paesi membri dell’Ue, a partire da quelli familiari. Ma soprattutto abbiamo chiesto che nessuno Stato membro si possa sottrarre a questi obblighi di solidarietà, pena delle conseguenze sui fondi strutturali erogati dall’Unione europea. Il segnale che diamo a Governi come quello di Viktor Orban (primo ministro dell’Ungheria, ndr) è chiaro: non si possono avere solo i benefici di far parte dell’Unione, bisogna condividere anche le responsabilità.
Dublino e Schengen sono fra gli accordi che la Svizzera ha sottoscritto, già da svariati anni. Cosa cambierà ora per la Svizzera con questa revisione degli accordi di Dublino?
La Svizzera, dopo la Germania, è uno dei Paesi che ha più beneficiato delle regole previste dagli accordi di Dublino, rimandando moltissimi richiedenti l’asilo al Paese in cui avevano effettuato l’accesso al territorio europeo. Ora cambia che anche la Svizzera è chiamata a fare la sua parte in base alle quote. Ma non c’è da spaventartisi. Non è un’invasione. Nel 2015, che è stato uno degli anni più caldi sulla rotta balcanica, sono state presentate in tutto un milione e 300’000 richieste d’asilo (nell’Unione europea, ndr). Siamo un continente che conta complessivamente 500 milioni di abitanti, dunque parliamo dello 0,25% della popolazione europea. È lo stesso numero di rifugiati che ospita il Libano da solo, che ha 4 milioni di abitanti. Non è assolutamente un fenomeno ingestibile. Abbiamo la responsabilità di esaminare le richieste d’asilo e di valutare chi ha necessità di protezione internazionale. Se questo lo facciamo con un meccanismo che condivide le responsabilità è un fenomeno assolutamente sostenibile per tutti. Anzi, una buona accoglienza può portare benefici importanti anche all’economia locale.
Lei è stata eletta nel Parlamento europeo nella circoscrizione Nord-Est dell’Italia. Il ministro degli Interni italiano Marco Minniti ha difeso l’accordo con la Libia sui migranti (che prevede che l’Italia fornisca assistenza alla Libia per fermare in loco il flusso di migranti). Gli Stati nazionali dell’Unione europea continueranno a portare avanti una politica che punta a trattenere i profughi dall’altra parte del Mediterraneo?
È possibile. La tendenza del Consiglio europeo in questo momento è quella di spostare le frontiere a Sud. A mio avviso questo è sbagliato. Credo che Minniti abbia perso molto consenso in questi ultimi mesi. Le condizioni inumane dei centri di detenzione gestiti dalle milizie libiche sono sotto gli occhi della stampa internazionale. La Cnn ha dimostrato qualche settimana fa che è tornata addirittura la schiavitù. L’Alto commissario per i diritti umani dell’Onu ha condannato duramente le politiche europee, dicendo che si tratta di un oltraggio alla coscienza umana. Anche il Consiglio d’Europa si è mosso per chiedere al Governo italiano dei chiarimenti. Chi esercita l’effettivo controllo su quel tratto di mare non è la Guardia costiera libica. Di questo anche il Governo italiano è responsabile. Questi respingimenti rischiano di essere contrari alla Convenzione di Ginevra.
Il “movimento” anti-immigranti, soprattutto nell’Europa dell’Est, cresce. A Bruxelles preoccupa questo?
Sicuramente preoccupa. Il rafforzamento dei partiti xenofobi e razzisti, molti dei quali sono apertamente e dichiaratamente fascisti (e che non dovrebbero pertanto nemmeno esistere) è reso possibile da politiche che rincorrono la destra sui suoi temi, e così facendo la rafforzano. Sarebbe bello sentire dai partiti di destra delle proposte concrete per affrontare il tema della diseguaglianza e della povertà crescente dei cittadini europei. Si punta il dito contro gli stranieri, ma il problema vero sono le multinazionali, che negli ultimi anni hanno sottratto fino a mille miliardi di euro all’anno tramite l’evasione e l’elusione fiscale. Occupiamoci prima di questi temi, promuoviamo una redistribuzione che vada a favore dei poveri di tutte le nazionalità. Sicuramente è vero che l’accoglienza, fatta come fino ad oggi, porta a delle tensioni sociali. Se però fatta condividendo le responsabilità a tutti i livelli, può portare dei benefici. La storia dei Paesi dell’Europa è una storia che ha fatto delle diversità una ricchezza. Ciò è particolarmente vero per la Svizzera, che già dagli inizi del ‘900 ha avuto un’alta percentuale di stranieri nella sua popolazione.
In Svizzera negli ultimi giorni si è parlato molto del miliardo e 300’000 franchi che la Confederazione ha destinato all’Unione europea per la cosiddetta coesione. Su questo tema c’è una forte spaccatura. La Lega dei Ticinesi e l’Udc sono fortemente contrari. Anche Franco Cavalli, che sicuramente non può essere considerato un esponente di destra, si schiera contro questi 1,3 miliardi, perché ritiene che vadano a finanziare Paesi che adottano politiche “fascistioidi” (leggi qui la nostra intervista a Cavalli). Secondo lei è giunto il momento di mandare dei segnali chiari ai Paesi dell’Est membri dell’Unione europea che adottano politiche così rigide sui migranti?
Sono d’accordo sul mandare un segnale a questi Paesi. Sono però convinta che sia importante per la Svizzera mantenersi all’interno del quadro europeo. Non va dimenticato che la Svizzera partecipa a molti programmi dell’Unione, fra cui quelli sulla ricerca, che sono molto importanti. Non bisogna far pagare a tutti i cittadini le scelte politiche sbagliate dei Governi.
Noi un segnale l’abbiamo già mandato, votando nell’ambito della riforma di Dublino a favore di ripercussioni per quei Paesi che si rifiutano di fare la propria parte nell’accoglienza, ripercussioni che vanno ad incidere sui fondi strutturali. Il concetto di base è che anche i fondi strutturali e per la coesione sono una forma di solidarietà. Non si può volerne una e rifiutarne un’altra.
Occupiamoci ora di politica italiana. Sabato 3 dicembre a Roma si è tenuto un convegno che ha dato vita a “Liberi ed uguali”, una nuova formazione che si colloca a sinistra del Partito democratico, a cui ha aderito fra gli altri anche Giuseppe Civati, a cui lei è molto vicina. Lei si riconosce in questa nuova formazione? Come vede il futuro di “Liberi ed eguali” in un Paese in cui negli ultimi anni la sinistra del Pd è sempre stata molto frammentata e non ha conseguito ottimi risultati elettorali?
Con Giuseppe Civati e con “Possibile”, il nostro partito, che abbiamo fondato nel 2015, quando ci siamo visti costretti ad uscire dal Partito democratico (che a nostro avviso stava tradendo tutti gli impegni presi con gli elettori) siamo impegnati da gennaio per chiedere a tutte le forze della sinistra, non solo partitiche, ma anche politiche e sociali in senso più esteso, una convergenza su un progetto unitario. Vogliamo fornire un’alternativa credibile al Paese, di cui c’è un disperato bisogno. Molti non si sentono più rappresentati e c’è il rischio che non vadano più a votare.
Conosciamo il dramma della sinistra in Europa e in Italia, che è sempre molto frammentata. Nel nostro Paese sono stati anche i personalismi ad impedire delle più ampie convergenze. Dunque ci siamo detti che l’unica via era portare avanti delle proposte concrete che condividiamo. Vogliamo sederci ad un tavolo e costruire insieme un progetto complessivo per il futuro del Paese. Non è con le strette di mano fra i leader che costruiremo l’unità, ma coinvolgendo anche la base ed aprendoci a quello che già si muove nella società, ma che per troppi anni per diffidenza è rimasto fuori dallo spazio politico.
Credo che domenica abbiamo dato un segnale di straordinaria importanza. Anche il fatto che il presidente del Senato, Piero Grasso, abbia accettato di guidare “Liberi ed uguali” è particolarmente rilevante. Abbiamo riunito tutti coloro che credono sia urgente dare un’alternativa di sinistra di governo al Paese.
Lei vede bene che si sia scelto come leader una persona nata nel 1945 come Piero Grasso, che dopo Berlusconi sarà con tutta probabilità la seconda persona più anziana candidata alle prossime elezioni?
Io non sono mai stata una rottamatrice…
Civati però sì…
Civati ha sempre portato avanti un discorso che unisce la “freschezza” all’esperienza, senza la quale non si va da nessuna parte. Civati ed io abbiamo sostenuto la campagna di Bernie Sanders, che non è propriamente un giovanotto, così come penso che Corbyn sia riuscito a portare un discorso radicale nuovo nel Regno Unito. L’alta caratura morale del profilo di Grasso parla da sé. È una figura che non è immediatamente identificabile con nessun partito, e quindi ha più facilità ad allacciare rapporti con la società e con quei numerosi cittadini che non si sentono più rappresentati dai partiti. Avevamo bisogno di una figura al di fuori di noi, che fosse in grado di garantire la democraticità del processo.
Dunque Grasso come garante?
Sicuramente.